A proporci modelli da imitare, oltre alle influencer in carne ed ossa, adesso arrivano anche le virtual influencer con corpi perfetti fatti di pixel. Sono create con simulazione digitale e raccontano una vita ideale, brillante, felice e senza errori, come mai sarebbe possibile nella realtà. Sono ispirate all’immagine dei personaggi vincenti. Vestono le griffe più amate e naturalmente ci propongono capi da desiderare e acquistare. E poi c’è la moda digitale con gli avatar da vestire per definire il proprio sé virtuale.
Sono la nemesi dell’affermazione di Franz Kafka, “la vita umana è un istante imperfetto” o di quella di Karl Krauss, “per essere perfetta le mancava solo un difetto”. Le virtual influencer si chiamano Lil Miquela (1 milione e mezzo di follower), Noonoouri (310mila follower), Imma (190mila followers), Shudu, Margot e Zhi (progettate per Balmain), Colonel Sanders. Tanti follower, eppure non sono reali. Dietro di loro graphic design, storyteller, staff che si occupano degli aspetti estetici e stilistici e naturalmente aziende di moda.
Un nuovo fenomeno di marketing che influenza la psicologia del consumo e che deve essere osservato attentamente se si desidera coglierne le implicazioni. Persino il New York Time ha fatto un’inchiesta su questo argomento . Da noi ne hanno parlato il Corriere della Sera e IoDonna (con una mia breve intervista sull’argomento)
Rappresentano un gioco di immaginazione dove virtuale e reale hanno confini sfumati? Sono una proiezione dei nostri desideri? O sono una perfetta espressione di quella epidemia perfezionista che sta sempre più dilagando, sterilizzando le emozioni vere?
Le virtual influencer introducono nella moda una dimensione giocosa che coniuga desideri e realtà. Mettono in scena un teatro ludico nel quale divertirsi per esprimere un sogno.
Ad alcuni questa dimensione piace, ad altri no. Dipende dai diversi modi di intendere la realtà, e da quanto sia preponderante in ognuno di noi il principio del piacere o il principio di realtà.
Credo che questa sorta di avatar piaccia soprattutto ai giovanissimi, alla generazione Z e ai social addicted che sono attratti anche dalla moda digitale. A coinvolgerli è il mix tra virtuale e reale che privilegia una dimensione giocosa e trasgressiva, ed esplora i linguaggi e i riti comuni ai nativi digitali.
Per “esplorare la sottile linea che divide realtà e immaginazione”(Twitter), Calvin Klein ha lanciato uno spot dove Lil Maquela si bacia con la realissima Bella Hadid. Noonnoori, ispirata alle sorelle Kardashian, sfila sempre con modelle vere. Realtà e immaginazione si confondono.
Alla loro apparizione molti sono rimasti confusi e sui social si è discusso per mesi se fossero vere o no.
L’abitudine, sempre più diffusa, a costruire la propria immagine ideale su Instagram, abitua a filtri e a ritocchi che rendono il corpo migliore di com’è. Nessuno si accontenta più della foto che scatta. Tutti cercano di migliorare la propria immagine. Photoshop è diventato una dipendenza di cui molti non sanno più fare a meno. Rappresenta una sorta di chirurgia estetica virtuale che rende immediatamente e magicamente più belli, creando una immagine diversa dal reale e idealizzata che elimina ogni difetto e imperfezione.
Le virtual influencer non fanno altro che portare all’eccesso questa dinamica, rendendo perfetti un corpo e una vita, che nella realtà non potranno mai essere tali. In questo modo, attraverso le immagini e lo storytelling, si crea una favola avvincente e brillante che ha lo scopo di proporci prodotti moda. E come per ogni favola è facile identificarsi con l’eroina o con l’eroe che ci permettono di sentirci migliori.
Nella società post-moderna il mito dell’eroe è molto diffuso. L’eroe o l’eroina devono essere perfetti. Si deve essere belli, eleganti, felici, competenti, giovani, tonici, vincenti, in una parola perfetti. In questo modo la competizione è esasperata e la fragilità è negata. Sono performance spesso troppo elevate per la vita reale. Delle modelle e dei modelli virtuali sembrano perfetti a questo scopo.
Nonostante i loro standard irrealistici di bellezza una follower ha scritto, “anche se fisicamente sei un robot, tutto il resto di te è umano”. Come dire che sono le nostre proiezioni e introiezioni a rendere reale una fantasia.
Accettare l’oggettività dei limiti individuali è difficile per molti e in particolare per chi è giovane ed è in cerca di una identità definita. Spesso c’è una separazione tra come ci si vede (sé reale) e come si pensa di dover essere (sé imperativo) per seguire i modelli vincenti.
Le virtual influencer, o gli avatar, hanno la pelle liscia, non ingrassano, indossano con leggerezza abiti stupendi, hanno uno stile di vita ideale. I virtual influencer hanno corpi tonici, barbe hipster scolpite e la nonchalance di chi non deve chiedere mai. Rappresentano un modello di perfezione con il quale identificarsi, ma nello stesso tempo non sono umani e non provano emozioni e sentimenti.
È più facile, allora, accettare di provare verso di loro una ambivalenza di sentimenti fatta di amore e odio. La bellezza, infatti, piace e seduce ma contemporaneamente fa paura per il timore di non riuscire a raggiungerla. Ogni bambina che abbia giocato con una bambola l’ha amata e si è identificata con lei per la sua bellezza, ma in certi momenti l’ha anche aggredita per la paura di non riuscire ad eguagliarne la bellezza e la perfezione.
Per alcuni è indubbiamente più facile gestire desideri e paure rispetto al proprio corpo in un gioco ludico virtuale, piuttosto che con il confronto con modelli reali, difficilmente emulabili.
Le novità sono sempre intriganti e richiedono apertura e l’abbandono di falsi moralismi. Usare un nuovo linguaggio nella moda può essere utilissimo per le aziende. Ma se vogliamo essere felici dobbiamo imparare a prendere le distanze dai modelli di perfezione.
Giocare va bene, divertirsi va bene, sognare va bene, ma mai perdere di vista la realtà, e soprattutto mai perdere di vista il nostro valore. Meglio riconoscere che non si è perfetti, ma si è comunque unici e speciali con il nostro bagaglio di esperienze, di pregi e difetti. L’impotenza e l’onnipotenza del sé sono due modi di conoscersi che impediscono di percepire i propri limiti per paura di non riuscire a conformarsi ai modelli vincenti. Dall’impotenza e dall’onnipotenza non nasce la felicità, né il benessere.
Come ha scritto Schopenhauer, ne L’arte di essere felici, “solo quando si guarda la vita con i propri occhi si esce dal bozzolo e si nasce farfalla”.
E come ha affermato il direttore di Vogue Italia, Emanuele Farneti, nel numero di marzo 2020 dedicato alla linea sottile che divide realtà e finzione, “la vera perfezione è quella unica e imperfetta dei corpi in carne ed ossa di ciascuno di noi“. Per la prima volta nella storia di Vogue la copertina è dedicata ad ” una ragazza che non c’è”, che è stata costruita a tavolino dai fotografi e dal direttore creativo.
Si può comprare un abito virtuale per vestire il proprio avatar? Si, se si porta la comunicazione di sé in un mondo ludico dove si gioca a costruire la propria identità. Un fenomeno questo che coinvolge i giovanissimi in cerca dell’immagine giusta per presentarsi agli altri ed essere accettati dal gruppo. Un modo per trasportare i problemi di accettazione di sé e del proprio corpo nel mondo dei desideri, in un teatro ludico dove si può essere magicamente perfetti, unici e vincenti.
Ma cosa succede poi quando si passa alla realtà dei corridoi scolastici vissuti come una sorta di passerelle sulle quali si è osservati e giudicati? Un avatar perfetto, con gli abiti giusti per esprimere la propria unicità, o la propria uniformità con il gruppo, come si confronta con il corpo reale? Si può sostituire la comunicazione con le persone in carne ed ossa con quella virtuale e immaginifica?
Pioniera di questo tuffo nel metaverso è stata Nike, come ci racconta Pambianco News, seguita da Balenciaga, Adidas, Ralph Lauren, Gucci e persino Zara.
Il fenomeno della moda digitale permette di trasportare sul piano virtuale il sé ideale e di rendere la propria immagine finalmente perfetta, con gli abiti giusti. Il sé reale vissuto dagli adolescenti come ancora senza forma e imperfetto, viene magicamente trasformato in un sé perfetto per comunicare la propria identità agli altri.
Il problema è che questa discrepanza tra sé reale e sé ideale viene risolta sola in modo virtuale, creando un teatro ludico nel quale giocare per esprimere il sogno. È una sorta di ripetizione digitale del gioco che fanno i bambini indossando gli abiti dei genitori per fingere, attraverso l’apparenza, di essere loro. Un modo per giocare al ruolo della mamma o del papà in quel caso, un modo per giocare con la propria identità nel caso degli abiti virtuali scelti per il proprio avatar.
Come scrive Erikson “l’immaginazione giocosa è a servizio di tutto quello che è che potrebbe essere”. Cosa succede però quando dal sogno magico si ritorna alla realtà delle persone in carne ed ossa? Quando dal teatro ludico si ritorna al palcoscenico quotidiano della nostra vita? Il gioco sarà servito per apprendere un ruolo e trovare il personale modo di esprimerlo nella realtà o sarà un modo per trasportare la propria fragilità in un mondo altro?
Sull’abitudine ad utilizzare filtri e ritocchi per migliorare la propria immagine sui social puoi leggere La guerra ai filtri Instagram di Martina Manfredi su D.Repubblica.it del 23-2-2021, (con una mia breve intervista). Potrà esserti utile anche la lettura del post La perfezione non esiste Clicca qui
Psicologa, iscritta all'Ordine degli Psicologi della Toscana, dal 1992 si occupa di psicologia della moda. È autrice di diversi libri sulla psicologia della moda. È coordinatrice didattica del Master on line in Psicologia della moda e dell'immagine di ESR Italia.È stata professore a contratto di Psicologia Sociale e Teoria e tecniche del colloquio psicologico alla Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Firenze, e di Psicologia sociale della moda e di Psicologia dei consumi di moda al Polimoda.
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Ciao, sono Paola Pizza, psicologa della moda.
Nel lavoro ho unito due grandi passioni: la psicologia e la moda.
Iniziamo insieme un viaggio tra i significati profondi della moda.
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Giorgio M.
28 Ottobre 2019Grazie per questo ottimo articolo, amo questo sito!
Era da un po che vi leggevo ma questo articolo era fantastico non potevo non commentare