Vestirsi ci stanca o ci entusiasma? Ci siamo stancati della moda? A me, che sono una ottimista innamorata della moda, pare improbabile. Sostengono invece questa tesi due articoli, uno su Bloomberg (The Death of Clothing) e uno su Rivista Studio (Ci siamo stancati dei vestiti?) che parlano del calo delle vendite di moda e profetizzano la fine degli abiti. L’argomento è stato ripreso anche da Zapping (Radio1) lunedì 12 febbraio 2018.
Ma è veramente così? O i due articoli, come pare a me, hanno una visione distopica della moda, e una interpretazione sbagliata dei dati?
Non credo proprio che i vestiti ci abbiano stancati. Credo invece che sia cambiato il consumo di moda.
Vi propongo una chiave di lettura dei fenomeni di consumo evidenziati dagli articoli, basata sulla psicologia della moda. La moda è un fenomeno complesso e la comprensione delle sue dinamiche richiede una pluralità di approcci, compreso quello psicologico.
Ecco in sintesi le principali affermazioni dei due articoli :
Secondo Bloomberg e Rivista Studio
Secondo la Psicologia della moda
Non credo che la diminuzione dei consumi di moda (documentata dagli articoli) si possa leggere come la fine del significato identitario di abiti e accessori, come suggerito dal titolo dei due articoli.
Il significato simbolico che attribuiamo agli abiti cambia nel tempo, cambiano il sé ideale e le identità che desideriamo acquisire, cambiano gli stili di vita, cambiano le tendenze moda, ma non cambia il valore identitario che attribuiamo agli abiti.
Gli abiti sono la forma più immediata di comunicazione di sé e di conoscenza dell’altro, come dimostrano tutte le ricerche di Social Cognition che studiano i fenomeni di conoscenza basati sulle prime impressioni.
Cambiano le cose che vogliamo comunicare, ma la moda rimane lo strumento principale per esprimere in modo immediato e facilmente visibile chi siamo.
Non è che i vestiti siano meno importanti, piuttosto tendiamo ad attribuire loro significati diversi.
Il consumo di moda è influenzato dai valori, cioè dalle “convinzioni che gli individui o i gruppi hanno maturato su ciò che è desiderabile, corretto, giusto o sbagliato” (come afferma il sociologo Anthony Giddens), e i valori mutano ciclicamente di importanza in periodi diversi.
In base ai valori dominanti in un determinato periodo, possiamo parlare di due diversi modi di orientarsi ai consumi e agli stili di vita. Uno è legato al concetto di individuo, l’altro a quello di persona (concetti cari a M. Mauss)
In questo tipo di consumo emergono gli interessi personali, la centralità del corpo e i consumi come leva per la felicità.
Gli altri sono spettatori della recita di un sé auspicato.
I valori chiave sono: edonismo, narcisismo, ricerca dell’apparenza, consumismo, interesse per la moda.
Gli abiti sono utilizzati come segno di appartenenza e di successo.
I comportamenti di consumo sono prevalentemente eterodiretti.
In questo tipo di consumo emergono il rifiuto del conformismo e dei condizionamenti sociali e uno spiccato interesse per una espressione originale di sé e per l’autorealizzazione.
Gli abiti sono utilizzati per creare la propria soggettività e unicità, indipendentemente dai ruoli sociali ricoperti.
I valori chiave sono: espressione della personalità, creatività personale, ecologia, tecnologia, adesione al nuovo.
I comportamenti di consumo sono prevalentemente autodiretti.
Le mappe socioculturali di Giampaolo Fabris mostravano negli anni passati una tendenza ai comportamenti basati sull’individualismo, ma come sostengono alcuni autori (come Hirschmann), esiste una sorta di pendolarismo sociale tra queste due tendenze, individuo e persona. Così la lunga crisi, i problemi ambientali, l’insoddisfazione per alcuni modelli di consumo possono portare a comportamenti alternativi e a diversi modi per vivere il consumo di moda.
Una delle possibili spiegazioni dei dati sul calo delle vendite di moda, fornite dagli articoli, è che tendiamo a comprare in modo più responsabile per effetto di un nuovo tipo di edonismo che porta ad un diverso rapporto con lo shopping.
Se l’edonismo è stato un valore dominante, oggi siamo in presenza di una tendenza evolutiva di questo valore (già evidenziata da molti anni dalle ricerche di Fabris).
Dall’edonismo (inteso come ricerca del piacere e del benessere in tutte le circostanze della vita) si passa all’ eudomenismo basato su comportamenti corretti (realizzazione del proprio potenziale, crescita personale, buone relazioni interpersonali, felicità condivisa). Una delle sue declinazioni è l’edonismo ecoresponsabile, incentrato su comportamenti ecologicamente giusti, e sul piacere ricavato dalla riduzione del consumo. In questo nuovo edonismo la ricerca del piacere acquisisce forme diverse rispetto al passato.
Nel consumo si passa dai bisogni (centrati sui beni fisici) ai desideri (caratterizzati da fantasia e immaginazione). Questo passaggio porta ad una serie di cambiamenti nel comportamento del consumatore:
Non credo che non ci interessi più essere eleganti, e che l’ineleganza diventi un valore, ma piuttosto che esistono diversi concetti di eleganza e diverse tendenze.
Nella moda “l’etica dell’estetica si capovolge, non è bello ciò che è bello, bensì è bello ciò che piace agli altri, ciò che aiuta a raggiungere gli obiettivi sociali, a integrarci con gli altri e a farci accettare” (Paola Pizza, Psicologia sociale della moda). Il concetto di eleganza cambia in base ai modelli di riferimento, ai gruppi di appartenenza e ai valori condivisi.
Così se per alcuni “la sciatteria è diventata cool” e fa tendenza, per altri il bello è qualcosa di molto diverso. Per fortuna la moda è eclettica: gli stili proposti sono vari e ognuno ha la possibilità di interpretarli in base ai propri valori e alla propria identità.
Non credo proprio che il business dress code sia finito. Credo che sia molto più flessibile rispetto al passato, ma che dipenda molto dai diversi contesti e dalle persone che lo interpretano.
Se è vero che in alcuni contesti più creativi l’abbigliamento si fa liquido, in altri le regole sono diverse. Nelle aziende di moda il dress code non è lo stesso che nelle aziende di informatica o in quelle metalmeccaniche o di servizio. Cambiano i valori, cambia la cultura di riferimento, cambiano i modelli, e abiti e accessori esprimono queste differenze.
Ci sono poi tre diversi modi per interpretare il business dress code:
Gli articoli fanno notare che molti non hanno più un guardaroba con abiti da lavoro. Credo che l’avere o il non avere uno spazio nell’armadio dedicato al ruolo lavorativo dipenda dall’identità delle persone e in particolare dalla loro identità di ruolo.
Per alcuni l’identità è composta da vari sé e l’abbigliamento si adegua a questa diversità, con una parte del guardaroba dedicata ad esempio all’abbigliamento sportivo, un’altra all’abbigliamento formale, una all’abbigliamento elegante. Per queste persone l’armadio è un contenitore dei diversi sé.
Chi ha una identità di ruolo spiccata, tende a dare una grande importanza alla sua comunicazione scegliendo abiti e gli accessori che la confermano. C’è chi veste sempre in abbigliamento formale e porta la giacca anche per una serata in montagna, chi veste sempre sportivo (in una ricerca un intervistato aveva l’armadio composto solo da tute sportive di tessuti e tinte diverse per il lavoro, il tempo libero, o le serate galanti!).
In più alcuni (ma non tutti!), condividono i valori legati al consumo responsabile e misurato, adottando la filosofia del meno è meglio. Così, ad esempio, usano lo stesso look per giorno e sera cambiando solo gli accessori. Usano capi basici da abbinare in modo diverso per i vari momenti della giornata, dal lavoro allo svago.
C’è chi trae piacere dall’abbondanza, chi dalla scarsità. Chi dalla conformità a un gruppo e chi dalla differenziazione dagli altri. Chi dall’imitazione del look delle influencer, chi dall’originalità di uno stile unico e diverso. Ma è comunque piacere.
È la moda bellezza!
Psicologa, iscritta all'Ordine degli Psicologi della Toscana, dal 1992 si occupa di psicologia della moda. È autrice di diversi libri sulla psicologia della moda. È coordinatrice didattica del Master on line in Psicologia della moda e dell'immagine di ESR Italia.È stata professore a contratto di Psicologia Sociale e Teoria e tecniche del colloquio psicologico alla Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Firenze, e di Psicologia sociale della moda e di Psicologia dei consumi di moda al Polimoda.
Ciao, sono Paola Pizza, psicologa della moda.
Nel lavoro ho unito due grandi passioni: la psicologia e la moda.
Iniziamo insieme un viaggio tra i significati profondi della moda.
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