Se sei un leader, o aspiri a diventare leader, sappi che tra le competenze che devi sviluppare c’è anche quella di vestirsi per la leadership. In tanti corsi sullo Sviluppo della leadership che ho tenuto nella mia ormai lunga carriera di formatrice, mi sono resa conto che molti sembrano dimenticare che si comunica anche con l’aspetto esteriore. Tutti si concentrano sulle parole dette, su come fare un discorso di successo, su come motivare e persuadere o gestire un gruppo, e spesso sottovalutano che la reputazione inizia con le prime impressioni che ognuno di noi fornisce nei primi minuti di ogni relazione interpersonale.
Gli studi della Social Cognition hanno mostrato come avviene la conoscenza, mettendo in luce quello che Asch definiva effetto priming: il legame, quasi sempre inconsapevole, che si crea tra le informazioni preliminari e il comportamento e il giudizio che seguono. Le impressioni iniziali, infatti, sono in grado di attivare una aspettativa che finisce per plasmare l’interpretazione delle informazioni successive.
Asch nella sua teoria del modello configurazionale, sostiene che guardando l’apparenza esteriore di una persona ci formiamo una prima impressione globale, che influenzerà la ricerca e l’interpretazione di tutte le informazioni successive. Il motivo per cui le prime impressioni sono così importanti, deriva dal fatto che l’attenzione è più alta all’inizio della conoscenza, mentre tende a diminuire nelle fasi successive.
Quali sono le prime impressioni che dai di te sul lavoro? Sono adeguate al ruolo di leader, che hai o che auspichi di avere?
Il leader non è necessariamente il capo, ma colui, colei, che influenza l’attività del gruppo. Tutti noi possiamo essere leader quando aiutiamo il gruppo a raggiungere un risultato. Gli atti di leadership sono comportamenti interpersonali di influenza reciproca: il leader influenza il gruppo ed è, a sua volta, influenzato dal gruppo. La sua presenza è particolarmente importante in momenti di crisi del gruppo.
È colei o colui che ha visione e carisma e che riesce a trasmettere il sogno e i valori ai suoi collaboratori. Il leader, come afferma lo psicoanalista Manfred Kets de Vries (Leader, giullari e impostori, Raffaello Cortina), è sia sopra che al centro: deve saper guardare avanti e guidare, ma deve anche essere guardata/guardato come modello e trascinatore. È necessario, perciò, che il leader abbia visibilità e capacità di stare sulla scena e esporsi, mostrandosi come il migliore del gruppo, attraverso l’immagine che fornisce di sé.
Possiamo definire il leader come un Empowering Facilitator: Coach (costruisce un team, trasmette la passione, crea una cultura, promuove relazioni, stimola la crescita), Designer (pianifica, organizza, costruisce lo staff, dirige, controlla), Teacher (facilita l’apprendimento e le abilità sociali), Esperto nell’uso del potere (per raggiungere risultati).
La capacità di essere guardati e riconosciuti come modelli e trascinatori è uno degli aspetti della leadership che meglio ci fanno capire l’importanza dell’aspetto esteriore come strumento di comunicazione.
L’abbigliamento deve tenere conto dell’identità aziendale, dell’identità di ruolo e di quella personale.
Ma soprattutto , poiché la leadership è saldata inesorabilmente al potere, diventare un leader vuol dire confrontarsi con le dinamiche inconsce del potere che nell’abbigliamento vengono soprattutto mostrate dal conformismo dei Grey Man, e al polo opposto, dall’autenticità di chi riesce a comunicare le emozioni.
Si passa dall’impersonalità formale di quelli che più avanti definirò come “pinguini”, tutti vestiti in bianco e nero, o al massimo in bianco e grigio, per conformarsi ad una idea stereotipata del potere basata sul controllo delle emozioni, allo stile unico e personale di chi sa gestire le emozioni e comunicarle anche con gli abiti, gli accessori e i colori. Da chi si adegua al potere perché lo teme, o teme di perderlo, a chi vive il potere con piacere e ne accetta l’imperfettibilità e la caducità.
Molti leader ritengono che per essere tali sia necessario negare le emozioni, adattandosi ad una sorta di alessitimia (incapacità a riconoscere e comunicare le emozioni), che li porta ad essere distaccati e a mancare di empatia nella comunicazione relazionale, e quindi anche nell’abbigliamento.
Si tratta di un’idea sbagliata della leadership che non porta né al benessere delle organizzazioni (che hanno bisogno di creatività e di intuizioni), né a quello delle singole persone (che hanno bisogno di esprimere il proprio Io). Le emozioni sono fondamentali per molte doti di un leader: creatività, intuizione, flessibilità, passione, coinvolgimento, motivazione. La sola razionalità non basta per essere un buon leader, occorre anche intelligenza emotiva, anche perché solo quando si riesce ad esprimere i propri sentimenti si possono ascoltare e comprendere i sentimenti degli altri.
Un buon leader deve gestire i propri sentimenti e non farsi imprigionare in un falso equilibrio che porterà a molti danni sia per la persona che per l’organizzazione. Mascherare il proprio Io non serve a niente. L’obiettivo deve essere quello di far valere la propria autenticità, e metterla a servizio dell’organizzazione e del raggiungimento dei suoi obiettivi.
L’abbigliamento giusto è allora quello che comunica la propria identità e i propri sentimenti, e non quello incolore, noioso, senza immaginazione, formale e ripetitivo che protegge dal coinvolgimento emotivo e crea distacco.
Un esempio di stile di leadership? Quello di Christine Lagarde che sa comunicare la leadership con gli abiti, gli accessori e i colori. Uno stile unico che sa farsi riconoscere e ricordare. Clicca qui per saperne di più sullo stile di Christine Lagarde
Per descrivere i diversi modi di comunicare il potere attraverso gli abiti, gli accessori e i colori, uso la descrizione dei diversi modelli di leadership che fanno David e Roger Johnson (Leadership e comportamento cooperativo, Trento, Erickson). Le diverse capacità di perseguire gli obiettivi e di mantenere le relazioni portano, secondo questi autori, a 5 strategie di leadership definite con nomi di animali (lo struzzo, l’ape, la lontra, il castoro e il lupo). A queste 5 strategie ne ho aggiunta una (il pinguino).
Stile di leadership: è un leader con scarse energie che preferisce mettere la testa sotto la sabbia e non vedere. Non è coinvolto e non riesce ad influenzare gli altri. Rinuncia a provare. Non si pone obiettivi.
Stile di abbigliamento: dimesso, poco curato, da tempo libero, che non tiene conto né del ruolo, né della cultura aziendale.
Stile di leadership: è un leader che come un’ape vola di fiore in fiore, lavora sodo senza coinvolgimento né attenzione alle relazioni. L’unica cosa che conta è il raggiungimento della meta. È come un sergente istruttore che dà informazioni, attribuisce ruoli e dirige per raggiungere un obiettivo, ignorando ogni aspetto emotivo e relazionale o richiesta personale.
Stile di abbigliamento: rigido, formale, distaccato, molto centrato sul ruolo. Non usa colori ne accessori che svelino emozioni.
Stile di leadership: è un leader che attribuisce molta importanza al mantenimento delle relazioni e all’ascolto dei bisogni del gruppo. Attento alle comunicazioni, media i conflitti, fornisce approvazione e sostegno. La forte attenzioni al benessere del gruppo fa mettere in secondo piano il raggiungimento del compito.
Stile di abbigliamento: Predilige uno stile informale, casual e talvolta sportivo. Non tiene conto del ruolo e dell’identità aziendale, ma solo delle sue preferenze.
Stile di leadership: l’impegno è moderato sia nel raggiungimento degli obiettivi che nelle relazioni interpersonali, e alterna periodi di impegno e relazioni efficaci a periodi di rilassamento e indifferenza. Alterna anche periodi in cui si impegna sul compito, ad altri in cui si impegna nelle relazioni. Non investe energie per cercare una leadership ottimale.
Stile di abbigliamento: Non ha uno stile personale definito e alterna l’abbigliamento casual e informale a quello più formale e strutturato, in relazione al suo stato d’animo (e non ai compiti da perseguire)
Stile di leadership: leader fortemente orientato sia alla realizzazione degli obiettivi che al mantenimento di buone relazioni e all’incoraggiamento del gruppo.
Stile di abbigliamento: ha uno stile di abbigliamento che tiene conto contemporaneamente del suo ruolo, dell’azienda, dei clienti e dei collaboratori. Rifiuta uno stile conformistico (da pinguino) e punta all’unicità e alla diversità. Si propone come modello per i suoi collaboratori e non dimentica mai il contesto o i diversi obiettivi da raggiungere (che possono richiedere un cambio di stile). Con il suo abbigliamento cerca prima di tutto di comunicare l’azienda e i suoi valori, senza rinunciare ad esprimere la sua identità personale. Cerca uno stile che bilanci l’identità aziendale, l’identità di ruolo e quella personale. È capace di esprimere i sentimenti anche con l’abbigliamento. Se sceglie lo stile manageriale lo fa con capi di qualità, senza rinunciare ai colori o agli accessori in grado di comunicare la propria unicità o il proprio ruolo.
Stile di leadership: persegue gli obiettivi e cerca di mantenere in apparenza le relazioni perché si conforma a uno stile di leadership perfetta. Rinuncia ad esprimere il proprio Io e si adegua ad una maschera di leader per sentirsi accettato. Può essere uno Yes man o uno Smile man, ma in entrambi i casi finge, conformandosi al clima organizzativo. Prevale un sé imperativo che porta ad adeguarsi a ciò che è vissuto come dovere, anziché come piacere e condivisione.
Stile di abbigliamento: segue uno stile impersonale e formale e si adegua allo stile dell’organizzazione o del gruppo senza apportare cambiamenti. Può indossare, ad esempio, completo o tailleur nero o scuro e camicia bianca, senza accessori, né colori. Tende a fare di alcuni capi, la sua divisa da lavoro.
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Psicologa, iscritta all'Ordine degli Psicologi della Toscana, dal 1992 si occupa di psicologia della moda. È autrice di diversi libri sulla psicologia della moda. È coordinatrice didattica del Master on line in Psicologia della moda e dell'immagine di ESR Italia.È stata professore a contratto di Psicologia Sociale e Teoria e tecniche del colloquio psicologico alla Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Firenze, e di Psicologia sociale della moda e di Psicologia dei consumi di moda al Polimoda.
Ciao, sono Paola Pizza, psicologa della moda.
Nel lavoro ho unito due grandi passioni: la psicologia e la moda.
Iniziamo insieme un viaggio tra i significati profondi della moda.
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