No Logo Fashion. Ossia voglia di cambiamento. Dopo anni di brand addicted, ecco ricomparire il desiderio di no logo nelle ricerche sui consumatori. Le due dinamiche principali della moda, uniformarsi e differenziarsi, si alternano. Secondo NPD Group, un terzo delle borse vendute nello scorso anno negli Stati Uniti era caratterizzato da un logo poco visibile e non appariscente.
A chi piace di più il no logo? Secondo la ricerca, l’81% dei Millennials (nati tra il 1980 e il 2000) preferisce borse con marchi discreti, ma il trend sembra attraversare tutte le altre generazioni e dilagare su abiti e accessori.
Negli ultimi anni il centro del consumo è stato il logo come oggetto di identificazione. Il consumatore desidera sentirsi parte del brand e condividerne i valori intangibili.
L’ostentazione di un marchio su una borsa, una cintura, un paio di scarpe, un abito, permette di sentirsi parte di un gruppo e condividerne lo stile di vita. Il possesso degli oggetti del desiderio ha contribuito a rafforzare l’autostima di molti, facendoli sentire vincenti e più sicuri attraverso l’appartenenza ad un gruppo di successo. Dietro l’amore per il brand, c’è l’espressione dell’identità sociale. Tra i bisogni prevalente c’è quello di esibizione: essere osservati e ammirati attraverso il possesso degli oggetti cult.
In una parte dei consumatori, e in gran parte della generazione Y, si rafforza la voglia di individualità e il desiderio di differenziarsi dagli altri. Si fa più forte l’identità personale e il desiderio di sentirsi unici e speciali.
Una ricerca di Y Pulse rivela che il 22% dei Millennials esprime il bisogno di personalizzare gli abiti e di modificarli cercando l’individualità nello stile. Il bisogno di creatività si esprime con la voglia di innovazione, cambiamento, reattività agli stimoli estetici e immaginazione.
Si sceglie uno stile personale che esprime individualità attraverso abbinamenti innovativi, la capacità di trovare e mischiare i capi e il gusto per gli accessori e i colori particolari, rivendicando un ruolo attivo nella creazione della moda. A prevalere è l’individuo e la sua identità che lo rende unico. Gli abiti hanno il compito di esprimere questa unicità.
L‘autostima di chi predilige i capi con loghi poco evidenti è alta, e gli oggetti moda servono solo a confermarla. Sul bisogno di uniformità e appartenenza, prevale il bisogno di diversità, autonomia e indipendenza.
Perciò il logo non serve e, se è troppo evidente, va tolto. Ci sono molti siti che spiegano come eliminare le etichette senza rovinare i capi. Ecco un nuovo modo per esprimere chi siamo attraverso gli abiti: via le etichette troppo evidenti e invadenti, largo alla semplicità che fa emergere un nuovo stile personale!
Seguendo il trend del no logo, i marchi del lusso come Armani, Valentino, Bottega Veneta, Céline, Fendi e Prada hanno presentato borse dove il logo è invisibile e propongono un lusso più discreto, centrato sulla qualità e sulla personalizzazione.
Louis Vuitton, che molti scelgono proprio per l’evidenza del suo monogramma, in realtà dai primi anni del ’900 ha creato per importanti clienti, bauli e accessori da viaggio senza monogramma e con il logo impresso in modo poco visibile. Questi oggetti sono destinati a clienti che desiderano utilizzarli nel tempo, amano esprimere lo stile personale e la sobrietà.
Anche Michael Kors ha ridotto decisamente le dimensioni del logo, così come stanno facendo Coach, Polo Ralph Laurent e American Eagle. Tory Burch ha creato un’immagine più discreta e meno dipendente dal logo. E Abercrombie & Fitch, tempio di bellezza e sensualità, oggetto di desiderio per milioni di adolescenti in tutto il mondo, ha cancellato il logo dai suoi prodotti. Piquadro propone di personalizzare le sue borse da lavoro, rendendo le iniziali del cliente quasi più evidenti del logo.
E tu tra le due dinamiche principali della moda, preferisci uniformarti o differenziarti? Sei più brand addicted o no logo?
Ascolta la mia intervista sul trend no logo nella trasmissione Ladies and Capital di Betty Senatori e Silvia Nobili
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Psicologa, iscritta all'Ordine degli Psicologi della Toscana, dal 1992 si occupa di psicologia della moda. È autrice di diversi libri sulla psicologia della moda. È coordinatrice didattica del Master on line in Psicologia della moda e dell'immagine di ESR Italia.È stata professore a contratto di Psicologia Sociale e Teoria e tecniche del colloquio psicologico alla Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Firenze, e di Psicologia sociale della moda e di Psicologia dei consumi di moda al Polimoda.
Ciao, sono Paola Pizza, psicologa della moda.
Nel lavoro ho unito due grandi passioni: la psicologia e la moda.
Iniziamo insieme un viaggio tra i significati profondi della moda.
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