Divise e uniformi sono espressione delle due principali dinamiche della moda: conformismo e individualità.
Sono una forma di abbigliamento che muove diverse e contrastanti emozioni. C’è chi le ama perché esprimono appartenenza e condivisione di valori, chi perché permettono un gioco ambiguo tra disciplina e trasgressione. Alcuni non le sopportano perché ritengono che violino la libertà individuale di esprimersi con la moda. Altri le accettano solo a condizione che rappresentino una scelta e non un obbligo.
Chi ha indossato una divisa ha reazioni diverse sull’esperienza. Una parte si sente orgogliosa della propria appartenenza ad una scuola, un’azienda, una istituzione, un gruppo. Prova fierezza nel mostrare questa appartenenza attraverso l’abbigliamento, in modo immediatamente visibile a tutti. Anche una volta fuori dal gruppo o dall’istituzione c’è chi continua ad indossare alcuni accessori (ad esempio la cravatta, il foulard, le scarpe, lo zaino), per riaffermare l’appartenenza anche fuori dall’istituzione. Un’altra parte mantiene giudizi ambivalenti verso la divisa o ne ricorda la scomodità.
Nella moda divise e uniformi sono spesso un gioco che permette di alludere ad una identità forte e grintosa e ad una sensualità che gioca con i simboli del potere e del rigore. Le divise militari, scolastiche e da lavoro sono state declinate in mille modi possibili dagli stilisti. Abbiamo visto spesso sfilare in passerella giacche militari, caban, giubbotti da aviatore, tute da lavoro, salopette, gonnelline a pieghe da studentessa modello, o parka da studenti rivoluzionari.
Molti stilisti hanno disegnato le divise e le uniformi che rappresentano le istituzioni, come Balmain per l’esercito francese, Balenciaga per i ferrovieri, Pucci per i tranvieri fiorentini, Valentino per gli assistenti di volo TWA, e più recentemente Zac Posen per Delta Air Lines, Alberta Ferretti per Alitalia e Vivienne Westwood per il personale di accoglienza del Museo della Scienza e della Tecnologia di Milano.
E tu cosa pensi di divise e uniformi?
Le divise e le uniformi rimandano alla disciplina. Comunicano controllo, purezza, autorità, professionalità, leadership, gerarchia, status e legami di solidarietà. Sono una espressione di conformità.
Indossare una divisa esprime condivisione dei valori di gruppo, celebra l’appartenenza e l’adesione alle norme. Fa sentire uguali agli altri appartenenti al gruppo o all’istituzione, e contemporaneamente diversi da tutti quelli che non ne fanno parte.
Le divise e le uniformi sacrificano il corpo individuale in funzione di un corpo gruppale al quale ci si adegua accettandone le norme e la disciplina. Ciò che si vuole comunicare non sono gli aspetti individuali che differenziano dagli altri, bensì quelli gruppali che rendono uguali.
L’insofferenza verso la divisa esprime l’intolleranza verso il controllo dell’espressività individuale e il desiderio di sentirsi liberi di scegliere cosa indossare e come indossarlo. Il corpo individuale è al centro, con la voglia di differenziarsi ed esprimere la propria individualità e la propria sessualità.
Le regole sull’abbigliamento sono vissute come limitazione della libertà di scelta e la lista di ciò che è proibito che sempre accompagna divise e uniformi (ad esempio: jeans, piercing, gonne corte, tacchi, trucco eccessivo, capelli lunghi sciolti, colori), fa scattare il meccanismo della reattanza psicologica . Questo meccanismo fa sì che quando sentiamo che la nostra libertà è limitata (perché ad esempio non possiamo indossare un determinato capo di abbigliamento o un colore), proviamo un impellente desiderio di abbattere gli ostacoli e mettiamo in atto in modo automatico comportamenti volti a ripristinare la libertà (ad esempio infrangendo le regole, indossando la divisa in modo ambiguo o trasgressivo, lottando contro l’istituzione).
L’individualismo è uno dei valori che caratterizzano la nostra società liquida, ed è proprio questo individualismo a rendere conflittuale il legame con divise e uniformi, fino a generare un rapporto ambiguo che porta ad usarle in modo ironico, trasgressivo o provocatorio.
Entrando nel mondo della moda divise e uniformi hanno acquisito un doppio codice di significazione: una dimensione manifesta e una nascosta. Se sul piano manifesto divise e uniformi comunicano disciplina e controllo, sul piano latente possono esprimere emozioni opposte come ribellione, trasgressione, perversione, erotizzazione, sessualità.
Tutto dipende dal modo con cui si indossano e dal contesto nel quale si indossano. Una delle caratteristiche principali di divise e uniformi sono infatti le regole rigide che definiscono come devono essere indossati i capi e come devono essere abbinati. Regole che se vengono infrante, provocano sanzioni disciplinari o reprimende sociali.
Una divisa studentesca indossata da una allieva, secondo il codice di abbinamento previsto dalla sua scuola, esprime ordine purezza e disciplina. Ma la stessa divisa indossata con biancheria intima sexy ben visibile e sandali dai tacchi vertiginosi, esprime sessualità e perversione.
Anfibi militari indossati da un soldato insieme alla tuta mimetica nel rispetto delle regole militari, comunicano disciplina e professionalità. Diverso è il caso se gli anfibi sono indossati con una gonna di tulle, o la tuta militare con tacchi a spillo e collane, oppure strappata e indossata con catene e piercing. Divise e uniformi comunicano in questo caso ambivalenza, trasgressione, ribellione.
Il tema delle divise contiene quindi una serie di affermazioni bipolari:
Poiché le divise suscitano un innegabile fascino, e ne vediamo continuamente riproporre i simboli nelle collezioni di moda, dobbiamo chiederci perché siamo così sensibili al conformismo nonostante il nostro desiderio di individualità e di differenziazione? Il tema delle divise ci porta al centro di un paradosso.
Nelle professioni, negli affari, nello sport, nelle scuole, spesso si adottano differenti versioni di una divisa per caratterizzare i propri membri e distinguerli dagli altri. Ci sono le divise scolastiche, le divise da lavoro, e quelle militari. Che cosa esprimono?
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Psicologa, iscritta all'Ordine degli Psicologi della Toscana, dal 1992 si occupa di psicologia della moda. È autrice di diversi libri sulla psicologia della moda. È coordinatrice didattica del Master on line in Psicologia della moda e dell'immagine di ESR Italia.È stata professore a contratto di Psicologia Sociale e Teoria e tecniche del colloquio psicologico alla Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Firenze, e di Psicologia sociale della moda e di Psicologia dei consumi di moda al Polimoda.
Ciao, sono Paola Pizza, psicologa della moda.
Nel lavoro ho unito due grandi passioni: la psicologia e la moda.
Iniziamo insieme un viaggio tra i significati profondi della moda.
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